mercoledì 27 agosto 2014

ILa Menca e le serie TV

HEROES: un'occasione sprecata

Heroes è una serie TV trasmessa in Italia dal 2007 al 2010 che vede come protagonisti un gruppo di persone dotate di superpoteri. Durante le quattro stagioni i personaggi si muovono in una complessa rete di intrighi e tradimenti alla ricerca dell'unica cosa che è davvero importante per ciascuno di loro: la totale comprensione dei loro poteri. Scappano da chi li vuole morti, indagano su chi gli nasconde qualcosa, salvano il mondo e scoprono se stessi.


 Ai tempi, un po' come feci con Naruto, la pubblicità trapanante di Italia1 fece il suo effetto (Heroes fu molto pubblicizzata ma programmata la domenica -___-). Decisi così di provare a seguire la serie. Quando non sai ancora se un prodotto sia una cagata o qualcosa di più, non ti resta che appoggiarti alle poche e innegabili certezze che hai; la mia unica era quel figaccione di Milo Ventimiglia. Il prodotto NBC ebbe su di me un'immediato riscontro. Apprezzavo i personaggi, adoravo il comparto scientifico e le teorie sull'evoluzione umana e non vedevo l'ora che arrivasse la settimana successiva per averne ancora.


Fu lì che conobbi i lavori di Tim Sale. Il disegnatore de Il lungo Halloween ha infatti dipinto le splendide tele
usate nella serie per rappresentare il potere divinatorio di Isaac, pittore drogato capace di predire il futuro.






Da allora è rimasto uno dei miei fumettisti preferiti.





(e Spider-Man: Blue uno dei fumetti più belli)

Ieri ho rivisto dopo tanto tempo la prima puntata di Heroes. E mi ha fatto male.

Tutto si risolve con una sola parola: Peccato! La serie dei supereroi con superproblemi senza maschera e calzamaglia poteva funzionare. Gli spunti per poter dar vita a stagioni con i controcoglioni basate su un'evoluzione coerente dei personaggi e sulla graduale comprensione del rapporto tra poteri e genetica c'erano eccome! Si poteva gestire meglio la contrapposizione tra due "eroi" agli antipodi come Peter Petrelli e Claire Bennet e, così facendo, basare il loro rapporto sulle rispettive differenze (la necessità di essere speciale del primo e la ricerca della normalità delle seconda). Si poteva sfruttare meglio il protagonista più divertente della serie, il nerd giapponese Hiro Nakamura, piuttosto che isolarlo nel Giappone feudale per buona parte della seconda stagione. Si poteva gestire meglio la storia di Sylar, i cui repentini e ripetuti cambiamenti da villain a hero hanno reso indigesto il prodotto.


Il momento di svolta doveva essere il finale della prima stagione che non è stato col botto. Lo sciopero degli sceneggiatori e una seconda stagione fiacca, composta solo di 11 puntate hanno fatto il resto.

Ora non resta che sperare che Heroes Reborn, rilancio di Heroes in arrivo nel 2015, non sia l'ennesimo buco nell'acqua. Al momento sono poche le certezze (la presenza di Jack Coleman  nel cast e la decisione di narrare eventi successivi alla quarta stagione) e molti i dubbi (Che fine hanno fatto i vecchi heroes? Come si può creare una nuova serie sulle fondamenta di una precedente così lacunosa?). Staremo a vedere.



martedì 26 agosto 2014

ILa Menca e gli Emmy Awards

Emmys da strapazzo

Ieri notte ho avuto la bella idea di guardarmi tutta la premiazione degli Emmy Awards 2014 alla TV. Gli intenti erano dei più frivoli: idolatrare Matthew McConaughey, guardare qualche vestito e ascoltare le mie buone tre ore e passa di inglese quotidiano.

Voglio il vestitino di Julia Roberts!

Non ho avuto modo di guardare buona parte dei telefilm in nomination (oddìo, forse sarebbe più corretto dire che ho visto esclusivamente True Detective pochi giorni fa) e non ho proprio modo di scrivere un post che analizzi nel dettaglio ogni scelta degli Accademy. Rimando perciò alla visione dei telefilm in gara le mie opinioni.

L'espressività di Kit Harington non si smentisce

In breve, per i drama, Breaking Bad ha sbancato aggiudicandosi 5 premi importati come Miglior serie, Miglior attore protagonista (Bryan Craston), Miglior attore non protagonista (Aaron Paul), Miglior attrice non protagonista (Anna Gunn) e Miglior sceneggiatura. 

Per le commedy prevale, come gli anni seguenti The Modern Family aggiudicandosi (con mio grande disappunto) per la quinta volta consecutiva il titolo di Miglior serie comica e portandosi a casa tre premi in totale (Miglior serie comica, Miglior attore non protagonista con Ty Burrell e Miglior Regia).


Mamma mia! Quanto è invecchiato Joey!

Grandi esclusi: True Detective, premiato solo per la Miglior Regia (il potere della piano sequenza) e Orange is the new black (serie Netflix di cui in più frangenti mi è stato parlato benissimo e che recupererò a breve).

Sherlock acquista il ruolo di vincitore a sorpresa strappando a Fargo (Miglior miniserie e Miglior regia) tre importanti premi per le miniserie/film tv (Miglior sceneggiatura miniserie, Miglior attore protagonista di una miniserie con Benedict Cumberbatch e Miglior attore non protagonista di una miniserie con Martin Freeman). Bel colpo per un prodotto inglese!

Il giovane (secondo Rai4) Jim Parsons 

Resta perciò all'asciutto Matthew McConaughey che ha mancato un triplete storico dopo la vittoria del Golden Globe e dell'Oscar come Miglior attore per Dallas Buyers Club (ora che ci penso Leonardo Di Caprio se la riderà alla grande). A mio avviso è un vero peccato; mai un attore era riuscito a riabilitarsi ai miei occhi come ha fatto lui nel 2014. Si vede che gli portato sfiga, son tre giorni che non faccio altro che tentare di disegnarlo (sono un modello di stalker evoluto io!)

Cheeres Mat!

L'amaro in bocca è sparito subito dopo aver ascoltato il discorso di ringraziamento di Bryan Craston, che vi invito ad ascoltare.


Ed epic win per essersi limonato Julia Luois Dreyfus.


Potrei chiudere qui il breve resoconto se non fosse per la nota dolente che mi sono vista tutta la serata su Rai4. E ragazzi è stata un'agonia (non rompete con il fatto che c'era lo streaming sul web perché non ho wi-fi!). La nostra rete pubblica ha infatti ben pensato di non dare ai suoi spettatori la possibilità di guardare gli Emmy Awards in lingua, quando sarebbe stato molto semplice trasmettere in televisione l'evento senza commenti di sorta e mantenere in radio le voci italiane fuoricampo.

Sorbirsi le battute di Gene Gnocchi per tre ore e mezza (perché, sì, uno dei commentatori era proprio Gene Gnocchi) è stata una delle esperienze più rivoltanti che la televisione italiana sia stata in grado di darmi. Lo squallido teatrino comico che si è consumato ha indebolito la forza di uno show che, vuoi o non vuoi, è seguito da un pubblico di nicchia, composto da appassionati che lo guardano con massima serietà e che, a loro volta, pretendono massima serietà. La scelta di affidare al comico gran parte degli interventi, mettendo in secondo piano la premiazione stessa, ha trasformato la diretta in un cabaret discutibile e di cattivo gusto. L' "Ecco Paolo Villaggio"  riferito a George Martin risuonerà (aihmè) per molto tempo nella mia testa come esempio di male assoluto.

Insomma, ancora una volta, con le sue scelte discutibili, la televisione italiana si mostra per quello che è: UNA BELLA MERDA.

Che dire, a me non resta che consolarmi così....












lunedì 25 agosto 2014

ILa Menca and Comics

BLUE, ovvero sul Localismo e CASA MIA.

Ho perso su tutti i fronti, lo so. Non ci sono né “se” né “ma”. Ho perso.

Ma tu, nuovo adepto del mio blog, sicuramente non mi conosci (o non mi conosci abbastanza) e vorrai senz’altro  una spiegazione.

Ecco a te.

Dopo due anni di condivisione in un mini-appartamento nella Milano imborghesita, nascosta (ma neanche tanto) tra i bastioni di Porta Venezia e la frenetica Città Studi, il mio esperimento di convivenza multiculturale è fallito. Chi mi è stato a fianco quest’anno sa come sono diventata e il livello di intolleranza raggiunto per la mia scelta di vivere con due ragazze libanesi islamiche. Sa delle mie fughe da casa, delle mie nottate insonni, dei miei pianti e dei miei sgambetti. Sa della mia infelicità. E della mia resa.

L’idea di cercare casa con loro è stata una decisione ben ponderata, conscia del rischio e delle difficoltà da essa causate con l’obiettivo di superare i problemi, eliminare gradualmente eventuali disagi e arricchirci. Eravamo amiche. Eravamo diverse. Potevamo farcirci (non ridete, non pensate male) a vicenda di una cultura che non ci apparteneva.  Spesso però, sia per il razzismo dilagante in Italia, sia per la necessità della nostra religione cattolica di dovere vedere i lati positivi delle situazioni in ogni contesto, ci ritroviamo a parlare di un solo lato della medaglia, di fronte al frammento più buonista e perbene o più intransigente ed esacerbato delle situazioni. Insomma di fronte alla parte meno utile e più banale della questione. Perché che la convivenza con studenti di etnie diverse sia difficile,se non impossibile, nonostante gli sforzi da ambedue le parti, è molto vero. Ma la multiculturalità, una volta ottenuta, non rende nessuno felice al 100% e ti trasforma in un prigioniero incatenato da un notevole numero di manette: le abitudini che ti vengono imposte. La vita insieme non sarà mai perfetta, sarà dominata da una continua mediazione che a volte si concepisce a fatica. Le rinunce  a cui mi hanno obbligata, mi hanno indurito col tempo e hanno reso inutili (o ancora peggio impossibili da accettare) i miei tentativi di mediazione.

E allora ho smesso di mediare, ho smesso di interessarmi alla loro vita privata e ho smesso di chiedere informazioni sulla loro realtà culturale. Ogni cosa da loro detta ha iniziato a infastidirmi, mi ha rimpicciolito il cuore e mi ha annerito l’anima. Mi ha fatto diventare cattiva, insopportabile e intrattabile. Un duro colpo per la donna di mondo che voglio sembrare, ma soprattutto che voglio ESSERE, a fronte delle difficoltà. Ho creato la mia e la loro personale China Town nella speranza di essere più tranquilla, di non dover discutere più di cose futili e di avere uno spicchio di italianità nella mia piccolissima casa. Mi sono trasformata in una persona gretta, incapace di guardare le cose da un altro punto di vista (uno dei miei pregi migliori).
Insomma ho perso.

Ma tu, che sei capitato qui per caso, meriti che ti racconti qual cosina, giusto per darti un’idea di quello che ho subìto.  Ricordati che sono dentro la storia e che non puoi proprio aspettarti obiettività perché, sì, posso (e potete farlo anche voi) biasimare alcuni miei comportamenti, ma non potrei mai darvi un punto di vista diverso dal mio. Non sarei onesta e ne ho le palle piene di vedere solo il lato positivo delle cose e di scusare la maleducazione e la scorrettezza di tutti (me esclusa). Vi parlerò di ciò per cui più di ogni altra cosa ho lottato: la possibilità di portare e ospitare amici a casa (ora che l’ho scritto, mi fa ridere).

Quando scegli di vivere con due ragazze musulmane molto credenti sai che non sarà facile, ma sottovaluti il potere del velo e le rotture che ne deriveranno. Per quello che mi è stato detto dalle stesse, pare che Allah non gradisca che le donne restino scoperte. Cioè, per essere più rispettosa (che Allah non si potrebbe neanche nominare e io lo sto facendo pure “invano”), se sei donna credente devi nascondere capelli, collo, braccia e gambe a tutti gli uomini che non appartengano alla tua famiglia o che non siano tuo marito (i fidanzati non sono ammessi al club, devono aspettare il matrimonio per  sapere se hanno scelto una ragazza bionda o mora e liscia o riccia). Un qualsiasi italiano tollerante direbbe: “Ok! Fai come vuoi. A me non crea nessun problema”. Sbagliato! Quando ho scelto le mie coinquiline sapevo che sarebbe stato rispettoso ospitare meno ragazzi possibili (e questo è male),  ma non avevo compreso le altre difficoltà relative. Perché anche portare in casa dieci minuti un individuo di sesso maschile crea grossi problemi dovuti alla necessità delle signorinelle di stare a casa comode e senza velo. Perciò si entra, si informano le conviventi della presenza di un “maschio”, ricevendo in risposta uno sbuffo, una mussulmana coperta e l’inevitabile imbarazzo (o scocciatura) dell’ospite a tempo molto determinato.

Ora, senza continuare il mio elenco di vicende, stranezze, difficoltà ed emozioni, sono convinta che per raccontarvi in maniera equilibrata le sensazioni che tale esperienza mi ha lasciato ci sia bisogno di un Signor Fumetto. E, ve lo dico subito, Mr. F. fa parte della collana Psycho Pop e si chiama Blue.
Blue è un fumetto scritto e disegnato da Pat Grant, un australiano come tanti, biondo, sorridente e matto per il surf. La sua è un’opera che consiglierei anche solo per il comparto grafico, anche se ritengo che si tratti di una piccola pietra preziosa proprio per il modo in cui viene trattato un argomento ostico come il localismo.

E come mai ci consigli ‘sto Blue? Arrivo subito!

Molto semplicemente perché Pat riesce in quello in cui io sto fallendo: raccontare in maniera obiettiva e cinica le conseguenze che genera la convivenza forzata di due etnie diversissime tra loro.
In Blue, infatti, ci troviamo subito a fianco di alcuni giovincelli di Bolton (la città australiana fittizia in cui è ambientata l’intera vicenda) e osserviamo la loro vita all’insegna dell’evasione e del surf, unici mezzi per poter allontanarsi dal controllo e dalla perfezione dell’opprimente cittadina. Non sono ragazzi simpatici, i nostri protagonisti. E non smetteranno mai di irritarci pagina dopo pagina; gretti e superficiali essi non fanno altro che perseguire  un unico interesse, quello di contare qualcosa per i coetanei. Insomma, degli adolescenti qualunque, magari un pelo più irritanti del normale. La normalità e la vita cittadina dei ragazzi continua finché una burrascosa mareggiata porta con sé i Blue, azzurri mostriciattoli tentacolari, che in breve tempo iniziano a insediarsi, ad adattarsi e a trasformare Bolton nella loro casa ideale.


Perciò ci troviamo, da una parte, di fronte a degli indigeni che, da principio, non hanno desiderato accogliere i nuovi arrivati e che ora ne pagano le conseguenze e, dall’altra, a degli ospiti che si sono adattati a fatica e che non hanno mai avuto il minimo rispetto per le tradizioni locali. Tramite tavole di una bellezza infinita e ad una capacità narrativa di alto livello, il nostro Patt ci porta rapidamente dal passato al presente e riesce a farci capire cosa sia l’intolleranza, sia da parte del popolo emigrato, sia da parte del popolo ospitale. Gli eventi che si susseguono sottolineano quanto poco sia importante chi abbia cominciato, ma il come gradualmente tutto si sia spezzato da entrambe le parti. Non importa chi per primo se ne sia fregato, chi abbia sbagliato di più e quando entrambe le popolazioni abbiano deciso definitivamente di farsi i fatti propri (sempre che siano stati portati avanti dei tentativi di integrazione qui), alla fine il malcontento dilaga e nessuno appare davvero felice, nonostante il mare, le onde e il surf.


Ora potete immaginare perché non sia rimasta indifferente di fronte ad un fumetto così. La risposta è: “Perché parla di me e della mia sconfitta”. Da quanto l’ho letto, infatti, tutte le volte che racconto della mia mini-avventura, tra spezie e cibi puzzolenti, riti incomprensibili e veli diabolici, non riesco a non pensare alle odiose parole finali di Steve. Parole che non vi svelo, ma che non lasciano scampo e che ci riducono ancora di più a quello che siamo: dei miserabili egoisti incapaci di venirci incontro quanto è importante, quanto può essere bello e quanto lo devi al tuo paese, per dare buon esempio.

Pat ammette che durante la sua adolescenza lui neanche ci ha provato. Io ci ho provato e ho fallito. Ora non mi resta che aspettare qualcuno che ci riesca e che mi faccia vedere quanto sia figo essere diverso e sopravvivere alle proprie diversità.

Io ho fallito. Probabilmente non ero la persona giusta. Ora tocca a voi.


giovedì 21 agosto 2014

LA NUOVA ERA

Inizia una nuova era in questo blog.

Forse non durerà più di qualche mese.

Forse si abbasserà il livello di interesse.

Forse scriverò fin troppe cazzate.

Forse disegnerò qualche brutta vignetta di troppo.

Ma il mio è un percorso alla scoperta di tutto ciò che merita la mia attenzione.

E di quanto tutto ciò che mi piace mi tocca nel profondo.

Perciò per un po' vi beccate un'altra Ilaria.

Poi si vedrà.